Nell'introduzione del suo libro
Stop Motion: Passion, Process and Performance (
Focal Press, 2007),
Barry Purves descrive la sua fascinazione per la magia e compie un parallelismo tra l'animazione dei pupazzi e i trucchi del prestidigiatore. In effetti l'incanto che scaturisce dalla visione dei lavori di Barry Purves ha pochi paragoni se non la sorpresa che prova un bambino davanti al coniglio che esce dal cilindro. La carriera di Purves è un percorso complesso. Egli inizia calcando le scene teatrali come organizzatore e attore dopo gli studi universitari a
Manchester in teatro e civiltà greca (1973-76) ma, incontrato il mondo dell'animazione, non esita a preferire l'espressione corporea dei pupazzi considerandola più efficace rispetto a quella attoriale.
Dal 1978 al 1986 nascono così cartoons e serie animate per ragazzi quali
Chorlton and the wheelies, Cinderella,
The pied piper of Hamelin,
Dangermouse e
The wind in the willows, per la
Cosgrove Hall Productions. In seguito egli collabora per progetti pilota e spot con la
Aardman, grazie alla quale, nel 1989, può dirigere il suo primo corto d'autore:
Next. Dopo questa prima esperienza positiva, Purves fonda con
Glenn Holberton la
Bare Boards Productions, che gli permette di produrre sia pubblicità, sia film nominati agli
OSCAR e ai
BAFTA e pluripremiati dalle giurie di tutto il mondo:
Screen Play (1992), il suo capolavoro,
Rigoletto (1993),
Achilles (1995),
Gilbert & Sullivan: the very models (1998). Dal 1996 riprende la collaborazione con la Cosgrove Hall Productions, da cui nascono tra gli altri
Brambly hedge,
Postman Pat,
Fifi and the flowertots e la recente serie di 52 episodi
Rupert Bear - Follow the Magic (2005-2007). Contemporaneamente, in veste di scenografo e regista ritorna al teatro, suo primo amore, che a tutt'oggi persegue, e inizia anche il suo impegno nell'insegnamento.
Degno di nota, poiché sperimentale, è invece
Hamilton Mattress (2001), cortometraggio per i più piccoli, in cui diversamente dal solito si dedica interamente alla regia, attuando una metodologia di lavoro che affida ciascuna scena ad un solo animatore e permette che l'indole di ciascuno si esprima al meglio. Se dunque non è semplice definire quale sia la principale occupazione di Barry Purves, certo è invece come le molteplici esperienze si radunino nelle sue opere per creare un linguaggio unico e di rara bellezza.
Nel suo cinema egli prende a prestito dalla mise en scène teatrale la coordinazione dei diversi linguaggi: scenografia e illuminotecnica, costumi e sound design, mimo, dizione e danza. Ma del teatro conserva soprattutto il rapporto con l'attore-pupazzo, individuo dai caratteri ben definiti, che viene però plasmato dalle sapienti mani del regista.
Purves è conosciuto infatti, innanzitutto, come uno dei più grandi animatori di oggetti e pupazzi; famosa è la sua collaborazione a
Mars Attacks! di
Tim Burton (1996) e il lavoro di previa animazione del
King Kong di
Peter Jackson (2003), ma al suo attivo ci sono anche piu' di settanta spot pubblicitari, tra cui la simpatica anatra samurai nemica dei germi. Di questa professione Purves fa un'arte, colma di artigianalità e passione; continuo è il suo rifiuto del computer e costante il rimando al movimento manuale come sfida affascinante e tensione verso il realismo, privo però della immateriale perfezione del digitale. In fondo, sempre lo straordinaro amore per il suo lavoro lo porta a voler trasmetterne trucchi e segreti ai giovani.
La fisicità del rapporto tra animatore e oggetto animato è però soltanto un aspetto della forte sensualità che contraddistingue i suoi lavori, in cui il fulcro dell'azione è sempre il sentimento. Esso ha mille e più risvolti nelle opere shakespeariane, è intriso di lussuria e morte nel
Rigoletto, è erotico quanto tenero in
Achilles, è pervaso da un pungente umorismo britannico in
Gilbert & Sullivan ed assume ogni possible sfumatura nell'amore dei due protagonisti di
Screen Play. I contrasti sono spesso portati all'esasperazione, l'uso dei colori, la sapiente scelta dei fondali, i punti di luce e le musiche create ad hoc contribuiscono a far risaltare il pathos, ma l'ossessione per la ricerca di nuove forme d'espressione in Purves non si ferma qui. In
Screen play ad esempio, la narrazione è accompagnata dalla lingua dei gesti britannica e ogni frase sembra tratta da una poesia
Haiku, mentre i protagonisti si muovono tra le complesse regole del teatro
Noh e
Kabuki. Il gesto è comunque e sempre fondamentale nella costruzione dell'azione.
Un'ulteriore stratificazione di senso rintracciabile nei lavori di Purves è la riflessione sulle modalità della creazione artistica. Sia in
Next che in
Gilbert & Sullivan si ritrova tutta la difficoltà dell'artista nell'ottenere una committenza, nell'incontrare un produttore o ancora soltanto nell'avere un'occasione per mostrare il proprio estro.
La vita del creativo è infatti un'incessante lotta etica tra le necessità del vivere e le pulsioni estetiche, tra produzione seriale e capolavoro.